Ad Majora: cucina senza confini

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A Modena, in via Nazario Sauro, nei locali che erano della Contrada della Scimmia del visionario Marco Saporiti e in seguito del Pernilla con Alessandro Boni, dove dagli anni ’90 per due decenni, si potevano incontrare star del jazz del calibro di Gianni Basso, Steve Grossman, Eddie Henderson, Stefano Bollani, Fabrizio Bosso, Marco Tamburini e Stafford James, un’insegna gourmet, aperta da poco più di un anno con un interessante e meditata cucina d’avanguardia, selezionata tra le nuove aperture più interessanti del 2022, ai The Fork Awards. La formazione del patron, lo chef piacentino Gioele Merli, dopo l’alberghiera, avviene all’estero, tra Australia, Londra e Giappone, incuriosito da altre culture e attirato dalle contaminazioni di cucine così diverse da quella mediterranea, mentre impara l’inglese e conosce Eleonora, di Spilamberto, che diventa la sua compagna. Dopo cinque anni, tornerà in Italia, per aprire a Modena e dedicarsi a una cucina senza confini, fortemente influenzata dalla cultura asiatica e orientale, espressiva di astrazioni che oggi sono parte della cucina internazionale, ma ieri erano viste con sospetto, come ad esempio carne e pesce oppure pesce e formaggio, che coabitano nella stessa ricetta. “L’intento era aprire in punta di piedi, cercando di fare capire la nostra proposta senza porci limiti di tempo, partendo da una carta dei vini ristretta ma attenta al territorio, aggiungendo etichette piano piano. La filosofia in cucina si può condensare nel motto “cucina senza regole”, mettendo in campo quello che ho sperimentato in questi anni, consigliando ma lasciando libero l’ospite nel cibo e nel vino di scegliere lui. Si parte dall’Oriente e da ciò che ho sperimentato cercando abbinamenti con il territorio, anche solo utilizzando dressing che danno un tocco non convenzionale a piatti più consueti, non vogliamo stravolgere l’idea di piatto, ma proporre qualcosa di diverso che ha a che fare con la cucina asiatica”. Una cucina senza confini ne steccati, aggiungiamo noi. Ed ecco i ravioli ripieni di sgombro affumicato, con concassè di pomodoro, burro alla salicornia e petali di bonito Katsuobushi, un pesce povero, cotto a vapore, essiccato e pressato, servito a leggerissimi veli, che in Asia e Giappone viene consumato a colazione. Al palato produce una sensazione ittica decisa pur essendo sottilissimo (una volta servito, con il calore delle pietanze e del piatto si muove impercettibilmente, sembrando ancora vivo, creando curiosità); ma anche i cappellacci al cacao ripieni di anatra stufata, burro aromatico, gocce di roquefort, riduzione di Grasparossa; il Rombo chiodato alla piastra, con scalogni fondenti. Le preparazioni vengono eseguite a vista, grazie a una cucina open space dove Gioele prepara i piatti davanti all’ospite, che può scegliere alla carta o decidere per il menu degustazione Omakase (Mi fido di te), attraverso 4 portate a discrezione dello chef, mentre la sala è una certezza nelle abili mani di Sandro Rigillo, competente e attento, con una carta vini non solo territoriale e una bella capacità narrativa che rivela una conoscenza non comune dell’universo enologico. Ad Maiora, il nome dato all’insegna, incarna l’intraprendere con ottimismo nuovi traguardi ed è quanto di più beneaugurante possa esservi.

di Luca Bonacini

Crediti Fotografici: Ad Majora

 

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